Da La Stampa del 10 marzo 2013

 

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio e Rete Imprese Italia. Vogliamo cominciare dal caos politico o dal declassamento di Fitch?

Faccia lei, tanto mi pare che le due cose siano abbastanza interconnesse. Su Fitch, le dico subito che, secondo me, l’agenzia di rating si è fatta prendere la mano dalla paura dell’instabilità politica, mentre i mercati, da quel che posso capire, sono abbastanza attendisti. Quindi non credo (e spero) che il declassamento avrà una ricaduta immediata sul costo del nostro debito pubblico.

 

E, invece, la situazione politica? Come la vedono le imprese che lei rappresenta?

Le dico subito che un nuovo ricorso alle urne sarebbe esiziale, oltre che inutile. Confido nel senso di responsabilità degli eletti e della politica tutta e, soprattutto, nella capacità di figure istituzionali di riferimento – penso al Presidente della Repubblica – di trovare una sistemazione accettabile del quadro politico anche in termini di governabilità.

 

Nel frattempo la situazione economica però non consente di alimentare troppe speranze. Giusto?

Gli indicatori economici relativi ai primi mesi di quest’anno convergono nell’indicare un peggioramento generale delle condizioni. Abbiamo raggiunto il triste traguardo dei tre milioni di disoccupati, la fiducia delle famiglie e delle imprese staziona ai minimi di sempre, i consumi mostrano un’ulteriore riduzione. Noi, a differenza di altri, non vedevamo alcuna luce in fondo al tunnel e l’abbiamo detto con chiarezza. i fatti – ahimé – ci hanno dato ragione.

 

Ma questo clima politico, ammetterà, avrà una ricaduta negativa sull’economia, o no?

Mi sembra evidente. Tuttavia non mi piace sottostare alla dittatura dei mercati finanziari e degli spread, ma bisogna riconoscere che tassi di interesse più elevati peggiorano l’agibilità del sistema creditizio, con riflessi negativi sull’economia reale. E poi, diciamo la verità, un paese senza un governo o con un governo paralizzato sotto il profilo decisionale scoraggia gli investimenti produttivi e peggiora la pianificazione di consumi da parte delle famiglie.

 

Stiamo parlando di una strategia di riduzione del danno. Di ripresa, invece, nemmeno a parlarne?

Distinguiamo le speranze dalle analisi. La crisi si allunga e si approfondisce. Forse avremo qualche segno più alla fine di quest’anno. Ma saranno senz’altro indicazioni debolissime e certamente insufficienti a restituire fiducia e un po’ di benessere ai cittadini italiani. Nel 2014 il Pil crescerà ma più per un rimbalzo psicologico che per una vera e propria ripresa economica. Ho l’impressione che non ci sia una piena consapevolezza del fatto che la crisi economica si può realmente trasformare in crisi sociale, mettendo in discussione quei legami che, in passato, hanno fatto superare all’Italia momenti difficili.

 

Un suggerimento alle forze politiche?

Non è mio compito dare suggerimenti. Dico soltanto che sulla base del buon senso e della ragionevolezza, si potrebbe partire da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide. Non è uno slogan e mi spiego. Se consideriamo i programmi elettorali dei diversi partiti qualche buon punto in comune c’è. Penso alla riduzione della pressione fiscale procedendo nella spending review o nella vendita, seppure contenuta, di patrimonio pubblico. Penso al conteminento dei costi della politica, ad una nuova stagione dell’etica pubblica, alla semplificazione delle istituzioni e, in via prioritaria, ad un accordo su una profonda revisione della legge elettorale. Quindi le azioni da intreprendere ci sono e, almeno sulla carta, ci potrebbe essere consenso su alcuni importanti punti programmatici. Mi auguro che ci sia una genuina volontà politica di operare, anche perché senza volontà politica non c’è vera democrazia.