La sessione mattutina della seconda giornata del Forum di Cernobbio si è chiusa con il panel dedicato alla giustizia, in apertura del quale il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, ha sottolineato che “sicurezza e legalità sono fattori che incidono direttamente sulla competitività non solo del nostro sistema economico, ma anche dei territori e delle singole imprese. Sono, dunque un prerequisito fondamentale per lo Stato di diritto, ma anche per la crescita e lo sviluppo. Un prerequisito la cui mancanza penalizza lo svolgimento di qualsiasi attività economica”. “Oggi – ha aggiunto Sangalli – per effetto del prolungarsi della recessione, il costo dell’illegalità per le imprese del nostro Paese rappresenta un peso davvero insostenibile. L’impegno per la tutela e la promozione della legalità va, quindi, sempre alimentato e rinnovato giorno per giorno. Dobbiamo fare in modo che la cultura della legalità e l’affermazione dello Stato di diritto si radichino sempre di più nel territorio”. Per il presidente di Confcommercio serve poi “il contrasto più determinato della piaga della corruzione”, oltre a “una vera e propria ricostruzione dell’etica pubblica e dell’etica dell’impegno politico” e ha ricordato l’impegno della Confederazione contro tutte le mafie, contro la criminalità, il racket, l’usura, la corruzione. Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti, ha quindi affermato che “la legalità è il primo dei presupposti per un corretto svolgimento dei rapporti sociali”, mentre al contempo “l’illegalità produce effetti sulla stessa evasione fiscale e sulla fiducia dei cittadini verso la Pubblica Amministrazione. Solo la costruzione di una vera sensibilità etica verso l’osservanza delle regole da parte di tutti gli operatori economici assicura concrete possibilità di sviluppo alla società e all’economia”. Giampaolino ha poi sollecitato l’adozione di un nuovo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, “finalizzato ad assicurare qualità dei servizi e prevenzione dei fenomeni di corruzione” e ha definito “inaccettabile” il livello raggiunto dall’ammontare del debito della P.A. verso le imprese. Dopo aver sottolineato che “non è più differibile un disegno organico di revisione della spesa pubblica”, il presidente della Corte dei Conti ha concluso definendo “un utile avvio il percorso intrapreso dalla legge sulla lotta alla corruzione”. D’accordo con quest’ultima affermazione Michele Vietti, vicepresidente del Csm, secondo il quale la legge anticorruzione “è un buon inizio, anche se perfettibile. I problemi derivano non dalla legge, ma da quello che è il vizio sistemico del nostro assetto penalistico e processuale: la prescrizione”. “Di garanzie si muore: con la riforma del 1989 – ha proseguito Vietti – abbiamo mescolato il peggio del processo inquisitorio e di quello accusatorio, mantenendo nel contempo tutte le garanzie per l’imputato che entrambi assicurano. Arrivare a una sentenza definitiva in questo modo è praticamente impossibile, c’è bisogno di una rivoluzione copernicana che ridia al processo il suo ruolo di strumento per l’accertamento tempestivo della verità. Bisogna cambiare radicalmente un sistema che oggi è farraginoso e inefficace”. Per il vicepresidente del Csm “il sistema economico ha bisogno di una giustizia che sia sì giusta, ma anche prevedibile e rispondente a canoni di ragionevolezza, non può essere un gioco del lotto. In questo modo si avrebbe una drastica diminuzione del contenzioso, con relativo effetto benefico per l’attività d’impresa”. L’onorevole Luca Squeri ha sottolineato nel suo intervento l’eccessiva lunghezza dei tempi della giustizia civile, denunciando poi il fatto che “l’usura è lo strumento attraverso il quale sempre più la criminalità si infila nell’economia legale, un fatto peraltro del quale sempre più, ormai, si rendono conto gli stessi imprenditori”. Quanto alla corruzione, Squeri l’ha giudicata “un fenomeno pervasivo, devastante, mortificante per l’intera economia”. “Serve concordia – ha concluso Squeri – altrimenti la legalità resta un miraggio”. La sessione si è chiusa con l’intervento di Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano, secondo la quale il vero problema è che “il sistema giudiziario è malato perché non sa più rispondere ai bisogni dei cittadini: in Italia c’è una assoluta mancanza di strategia in questo campo, chi ci lavora non può continuare a vivere di appelli. La verità è che nel nostro Paese c’è un grande deficit di legalità”.